XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A – 16 AGOSTO 2020

16 Agosto 2020 Off Di wp_10628220

DOMENICA 16 AGOSTO 2020
XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

Prima Lettura
Dal libro del profeta Isaìa (Is 56,1.6-7)
Così dice il Signore: «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli». Parola di Dio

Questo brano apre la terza sezione del libro di Isaia. Per la sua scarsa unità interna, questa sezione non viene giudicata opera di un singolo autore ma una collezione di diversi poemi dovuti ad una «scuola profetica”, influenzata dall’insegnamento del Deutero-Isaia, che operò nella comunità postesilica.
Uno dei primi compiti che tale comunità si trovò a dover affrontare, fu quello di riorganizzare il servizio del tempio alla luce della dottrina del Deutero-Isaia, e particolarmente del suo universalismo. La lettura liturgica sceglie i versetti che si riferiscono proprio a questo tema. Il v. 1 rispecchia nelle parole il Deutero-Isaia, ma il senso è diverso. Nel senso inteso dal Deutero-Isaia la «giustizia” di Dio si era realizzata con il ritorno dall’esilio, per l’autore di questo poema invece essa deve ora rivelarsi nella amministrazione e nella vita della comunità.
Il tema della gioia è caratteristico del Deutero-Isaia: un “nuovo canto” corrisponderebbe alle «nuove cose”. Ma qui la gioia trova espressione nel culto regolare del tempio in cui trova trova espressione la religione universale: un Dio per tutti, l’unità nel culto, come pure il generale riconoscimento di Jahvé. L’espressione «casa di preghiera” rappresenta il titolo più alto per il tempio, titolo ancor oggi scritto frequentemente sulle sinagoghe. L’espressione verrà ripresa anche da Gesù (cf. Mc 11,17); Giovanni (cf. 2,13-22), indicherà poi che è nel tempio del corpo di Gesù stesso che si compirà il pieno significato di queste parole.

Salmo Responsoriale (Dal Sal 66 (67)
R. Popoli tutti, lodate il Signore.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti. R. Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu giudichi i popoli con rettitudine, governi le nazioni sulla terra. R. Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra. R.

Inno di ringraziamento per il raccolto (cf. Es 23,16), che si apre in una visione universalistica, perché dai doni della terra tutti i popoli sono chiamati a riconoscere il vero Dio e a lodarlo. Il ritornello sintetizza il pensiero del salmo: tutti i popoli sono chiamati alla lode di Dio, dopo che hanno visto le meraviglie che egli compie.

Seconda Lettura
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 11,13-15.29-32)

Fratelli, a voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti? Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti! Parola di Dio

Il problema che occupa la mente di Paolo in questi capitoli è quello dell’incredulità di Israele. Già in 9,27 egli aveva accennato a un raggio di speranza affermando che «un resto di loro” si sarebbe salvato. Ora egli torna su questo aspetto del problema e spiega ulteriormente che l’incredulità di Israele non è totale, ma solo parziale, non è definitiva, ma solo temporanea , e che nel piano divino la misericordia è aperta a tutti, giudei inclusi. Alla fine di questa sezione Paolo si diffonde in un inno alla misericordiosa sapienza di Dio.
Alcune osservazioni sui versetti scelti per la lettura: i gentili (pagani) non devono inorgoglirsi per aver accettato Cristo e credere di poter guardare a Israele con disprezzo. Paolo, che pur si gloria del suo ministero rivolto ai gentili, non può dimenticare quelli della sua stirpe o, come dice lui con vivida espressione, quelli della «sua carne”; perciò si propone uno scopo preciso: di suscitare la loro gelosia e così salvarne alcuni. La disobbedienza dei giudei è stata un motivo del riversarsi della misericordia di Dio sui gentili: ma tale misericordia sarà usata indubbiamente anche verso gli stessi giudei. L’ultimo proposito di Dio per il mondo è ora rivelato; esso è misericordia tanto per i giudei quanto per i gentili. II fatto che un resto fedele sia stato scelto non significa che gli altri siano destinati alla perdizione, anzi la misericordia divina dev’essere estesa a tutti senza distinzione . C’è qui un inequivocabile universalismo, anche se non ancora realizzato pienamente.

Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 15,21-28)
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne.
Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». “È vero, Signore”, disse la donna, “eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”.
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri».
E da quell’istante sua figlia fu guarita. Parola del Signore

Alla controversia che ha portato Gesù ad affermare l’insufficienza della purità legale, Matteo fa seguire un racconto che presenta uno dei rari contatti di Gesù con i gentili. Gesù si dirige verso il territorio di Tiro e Sidone (a sud della Fenicia) abitato da pagani e lì è raggiunto da una donna proveniente dalla suddetta regione. Questa donna, chiamata da Marco siro-fenicia, da Matteo è detta cananea. La donna, avvicinatasi a Gesù, comincia a importunarlo con insistenza come può fare una madre che invoca aiuto per una figlia ammalata. Gesù non risponde; anzi oppone un rifiuto, dicendo di «non essere stato inviato che per le pecore perdute di Israele” . La donna non si perde d’animo e intreccia con Gesù un simpatico dialogo a botta e risposta da cui esce vittoriosa. Matteo conclude il racconto con una solenne esaltazione della fede della donna (lo stesso tema illustrato nella guarigione del servo del centurione: 8,13). L’episodio ha il suo punto culminante non già nel miracolo, ma nella confessione di fede della cananea. Gesù apprezza la fede dovunque la trovi.

COMMENTO E MESSAGGIO
Contrariamente al solito, questa volta le tre letture sono legate da un unico tema che riceve dai singoli brani una particolare sottolineatura. Si tratta di un tema ripetutamente affrontato nella sacra Scrittura, il quale può essere espresso con le parole di Paolo che rappresentano la chiave dell’intera epistola ai romani: Dio tutti ha rinchiuso sotto la disobbedienza, per far misericordia a tutti.
Il carattere universale della «misericordia di Dio» non viene colto con immediatezza nell’A.T. Col N.T., invece, cade ogni particolarismo e la fede cristiana si apre a una visione marcatamente universalistica.
Due osservazioni forse aiutano a capire le reali dimensioni di questo universalismo: 1) la misericordia di Dio è totalmente gratuita: nessuno, quindi, può vantare davanti a Lui un qualsiasi merito; è Dio che salva e per amore. 2) L’atteggiamento di Gesù verso la cananea ci fa capire come per Lui sia essenziale una fede umile e confidente, non già l’appartenenza a un popolo o ad un particolare credo religioso. In questo senso la cananea ha molto da insegnarci: molte volte anche noi cristiani che dovremmo avere, sulla base della nostra accettazione del Vangelo, una simile senso di fede.
La tensione universalistica del messaggio cristiano corrisponde anche all’evoluzione sociale del nostro tempo, rivolto a un progressivo superamento del nazionalismo. Questa direzione della storia corrisponde alla percezione più netta del valore intrinseco della persona umana e trova nel Vangelo la sua motivazione più forte. Infatti proprio dalla parola di Gesù proviene il comando di aprirsi a ogni uomo, superando tutte le barriere di razza, di cultura e di condizioni economiche e sociali e religiose. Tuttavia, questo non deve sminuire il senso dell’originale appartenenza e identità, che contiene in sé la cifra significativa di storia, cultura, tradizione, educazione e formazione.
Il testo ci costringe a mettere sotto giudizio il nostro comportamento individuale come pure quello delle nostre assemblee eucaristiche. L’avvento di Cristo ha determinato il fallimento della disciplina del tempio, fatta di esclusioni e di rigidi tabù (cf. prima lettura).

Ma possiamo noi dire che le nostre assemblee eucaristiche hanno una apertura veramente più grande? Meritano sul serio di essere segni del raduno universale che noi tentiamo di realizzare nella vita quotidiana? O lasciamo che qualcuno si senta in esse estraneo o addirittura escluso? Le nostre celebrazioni presentano un carattere tale da interessare gli uomini di tutte le classi sociali o sono escludenti? La presenza sul nostro territorio nazionale di tanti nostri fratelli nella fede provenienti da tanti paesi differenti, non  dovrebbe trovare nelle nostre celebrazione un luogo ove esprimere concretamente lav vera fraternità e la vera universalità e cattolicità del nostro cristianesimo. Invece, mi risulta che chi s’interessa della fede di questi nostri fratelli sono proprio pochi. Quando si parla di accogliere, promuovere ed integrare (il Papa e la CEI ne parlano spesso), ma non si fa quasi mai riferimento all’elemento religioso. Che sia diventato secondario? Beh, la liturgia di oggi ci dice ben altro. Dobbiamo veramente fare in modo che le nostre assemblee liturgiche siano caratterizzate da questa sincera apertura, affinché diventino effettivamente l’alimento per la costituzione di un’unica famiglia umana.

Buona Domenica.