XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A – 13 SETTEMBRE 2020

12 Settembre 2020 Off Di wp_10628220

DOMENICA, 13 SETTEMBRE 2020

Prima Lettura

Dal libro del Siracide Sir 27, 33 – 28, 9

Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile,come può supplicare per i propri peccati? Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio? Chi espierà per i suoi peccati? Ricòrdati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui. Parola di Dio.

Ben Sira è uno scriba che visse nella prima metà del secondo secolo a. C. Unisce l’amore della sapienza a quello della legge. È ardente di fervore per il tempio e le sue cerimonie, molto rispettoso del sacerdozio. Mostra una profonda conoscenza dei libri profetici e soprattutto dei libri sapienziali.

La sapienza annunziata da Ben Sira proviene dal Signore; suo principio è il timore di Dio: forma la gioventù e procura la felicità. Riguardo al destino dell’uomo e al problema delle sanzioni, egli ha le stesse incertezze di Giobbe e del Qoelet. Crede nella retribuzione, sente la tragica importanza della morte, ma ancora non sa come Dio ricompenserà le azioni dell’uomo.

Il tema del brano odierno viene enunciato dal v. 33. ” rancore e !’ira sono peccati che distruggono la coesistenza fra gli uomini. :.. Intervento salvifico di Dio nella storia di Israele comporta la oibizione della vendetta. Secondo il Siracide, il timore di Dio implica il perdono e chi J”CJona mette in pratica la legge.

Salmo Responsoriale Dal Sal 102 (103)

Il Signore è buono e grande nell’amore. Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici. R. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia. R. Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. R.Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe. R.

L’amore di Dio si manifesta nella realizzazione del suo piano, che è superiore ad ogni infedeltà umana.  Il salmo è un invito alla lode di questo amore che «perdona tutte le colpe e guarisce tutte le ferite»  è una celebrazione della bontà divina che «non ci condanna, né serba perennemente la sua collera», che «non ci tratta secondo i nostri peccati, né ci ripaga secondo le nostre colpe.

Seconda Lettura

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 14,7-9)

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. Parola di Dio.

Nessuno vive né muore per se stesso. Nella sezione 14, 1-15, 13 Paolo si occupa dei problemi sollevati dalla coesistenza nella comunità tra gli scrupolosi giudeo-cristiani e i più liberi pagano-cristiani.  ” suo modo di occuparsene è strano: non ha fondato la comunità di Roma, e probabilmente, edotto dalle esperienze di Corinto, intende enunciare il principio supremo in base al quale evitare le tensioni.  L’assioma «nessuno vive per se stesso» è ampiamente condiviso nell’antichità pagana. Paolo gli dà un nuovo significato. Probabilmente, /’idea è suggerita dall’istituto storico della schiavi·’l. Ma il dominio di Cristo è ben diverso: sullo sfondo del Kerygma, il Signore è presentato come colui che ha acquisito uesto diritto di vita e di morte sacrificando la propria vita  e che esercita la sua sovranità dal omento della elevazione alla destra di Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18,21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». Parola del Signore.

Nei vv. 21-22 Pietro, coerentemente alla mentalità casuistica, vuole saggiare i limiti del doveroso per aprirsi un valico verso il lecito: mentre il giudaismo arrivava in genere ad ammettere il perdono quattro volte, Pietro fa uno strappo e dice sette. Gesù risponde rovesciando il terribile detto vendicativo di Lamec (Gn 4,24): come la vendetta di Lamec, così il perdono proposto da Gesù non ha limiti. Matteo rivela qui un realismo che non sempre sarà mantenuto nella comunità primitiva e futura: se il fratello pecca settanta volte sette, altrettante volte bisogna perdonarlo. La chiesa non è un convento di impeccabili.  La parabola del servo spietato (vv. 23-35) tratta dei rapporti tra collaboratori al servizio del medesimo re e si ricollega al contesto del discorso sulla comunità. Nel complesso è un vero e proprio commento figurato alla richiesta del “Padre nostro» (6,12). Giovanni (1Gv 4,20) esprimerà nel modo più completo questa idea: l’essere graziati dal Padre esige necessariamente il farsi grazia gli uni agli altri.

COMMENTO E MESSAGGIO

Se oggi si facesse un’inchiesta sulla vendetta e sul perdono, chi si dichiarerebbe per la vendetta, specialmente tra i cristiani? Eppure osserviamoci un po’ nella nostra vita di tutti i giorni: quante volte ci trinceriamo dietro la legge, la giustizia, per vendicarci, per far valere i nostri diritti, per odiare «legalmente» l’altro.

Quanto spesso usiamo trucchi legali per colpire il parente che ha diritto all’eredità, il povero che non ha il permesso scritto per mendicare. Usiamo la legge per vendicarci a mani pulite. E quante volte siamo intolleranti verso le persone che ci circondano. Siamo degli intolleranti anche come cristiani, col senso di superiorità che ci dà il sentirci depositari della verità.

L’unità nella carità non è un livellamento, ma la consapevolezza di essere tutti figli di Dio e di servirlo, ognuno di noi, nel modo che sinceramente crediamo più valido. Nel nostro vivere quotidiano c’è una paurosa mancanza di coerenza e di fedeltà al nostro credo. Come possiamo allora andare in chiesa e sentirci cristiani? Come possiamo non sentirci ipocriti, non sentire il divario tra quello che diciamo di credere e il nostro agire? Come possiamo pregare, se siamo anche noi come il servo ingrato della parabola?

Abbiamo dimenticato che tutti siamo dei graziati, tutti siamo stati amati. Se il nostro amore non riesce a superare nemmeno le norme giuridiche, vuoi dire che non abbiamo mai capito che senso ha avuto la morte di Cristo per tutti noi. E Paolo seguiterà ad ammonirci invano, nelle letture della domenica, che siamo tutti uguali, tutti fratelli, tutti del Signore, sia nella vita che nella morte.

La parabola del signore misericordioso e del servitore spietato trova il suo punto di riferimento nel versetto 33: Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?. Solo così infatti può venire spezzato il fatale meccanismo del male o della violenza e aprire spiragli di speranza e di salvezza per ogni persona. Prendendo spunto dalla situazione dell’uomo che ha atto arrestare il compagno per un piccolo debito, Gesù propone e raccomanda di concedere al proprio fratello sempre nuove possibilità. Non si deve restare inevitabilmente schiavi del passato. Gesù prende sempre sul serio ogni persona così com’è e offre la possibilità di ricuperare il senso della propria vita e di aprirsi a nuovi promettenti orizzonti.

Buona Domenica!